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venerdì 10 febbraio 2017

Testa di legno: gli uomini nel deserto usano poche parole!


Si può vincere una guerra in due e forse anche da soli,.., ma è più difficile cambiare un’idea. Cosi una canzone degli anni ’80.
Nessuno può sapere come finirà questa storia, che pure – non c’è dubbio – ha messo in moto e stravolto il contesto.  Ma una cosa è mettere in moto, come si è soliti dire, e un’altra è arrivare interi e indenni fino a dove si è deciso di andare, senza abbandonare o sbattere.
Attenti, fuori da ogni metafora, qui il pensiero procede in terza persona, perché pur essendo parte della situazione, del contesto, faccio finta di ragionare su qualcosa di estraneo. E questo estraneo, che è altro da me e da voi, si chiama “contesto o ambiente”. Da sempre, in pratica.

All’origine era stato un nome insignificante, una lacrima di malanimo inghiottita tra tutte quelle che tocca ingoiare fin da bambini. Invece di soffrirci sopra, cosa che non serve mai a niente e a nessuno, quel sostantivo era penetrato nel cuore, e si era impresso come un tatuaggio. Tutti i rimproveri, se accettati con una certa dose d’indifferenza, alla fine divengono opportunità, occasioni. A ben guardare, non si può contare su niente di più sicuro.
Così, grazie all’insulto, il contesto comincia a guardare a sé stesso come ad un estraneo, ad altro, esistendo e nello stesso tempo riflettendo sulla sua vita dal punto di vista di un investigatore.

D’altra parte, pensa il contesto, addestrato a riflettere, nemmeno osservare dal di fuori significa comprendere. Così come il primo che passa può farsi un’idea inesatta di te, puoi essere fuorviato dal tuo stesso riflesso in uno specchio. Di noi e degli altri non conosciamo che l’apparenza, e questa esteriorità la chiamiamo vita. Però la vera vita, chi può sostenere di conoscerla?
Contesto: periferia di una provincia del sud del mondo.
Cos’è questa periferia? E’ un luogo del mondo e, se vogliamo usare la razionalità, come tutti i luoghi della terra ne è il centro rigoroso, l’ombelico. Un luogo del mondo è quel posto dove la bontà umana è messa alla prova ogni giorno, ogni ora, ogni minuto: dall’insensibilità e dall’astuzia e, in mancanza d’altro, dal chiaro e semplice scorrere del tempo che per tutti gli esseri umani, è il più irreparabile degli affronti.

La dignità umana è un pugnale tagliente, che però va afferrato dalla parte della lama, stringendo energicamente. Non c’è un’impugnatura, non è mai esistita: è questa la difficoltà, questo è il difetto. Altrimenti la terra sarebbe affollata di semidei, di virtuosi, di saggi. Invece, ed è sotto gli occhi di tutti, il pianeta è quasi interamente popolato di umili e infelici, tutti attaccati alla ruota della fortuna che trasforma i primi nei secondi e viceversa.

Qui, quasi tutte le case sembrano incomplete, senza un tetto, senza una fine, come una qualunque costruzione abusiva, identica a migliaia di altre, metafora di una nuova Torre di Babele da punire per la sua superbia.
La verità è che tutto è bello/brutto, una pellicola uniforme di bellezza/bruttezza si stende come plastica adesiva e scintillante su ogni cosa, su questa periferia e in tutta questa inutile, ingiustificata bellezza/bruttezza c’è il rischio che non si riesce a comprendere pienamente, ad afferrare con le parole. Tanto vale, allora, non farsene un problema inutile!??!
Tutte le relazioni sono filtrate, non si spegne mai il televisore, come se da lí provenisse l’aria o il senso necessario a orientarsi nel groviglio della realtà. E’ sempre accesa o silenziosa, come un angelo custode fatto di azzurre luci.
Le notizie sono date a gente preparata a farsi delle idee. Ma a che serve avere idee? È un male fatto di pensieri inutili su eventi che non provengono, in realtà, da nessuno. Con le loro idee, molti esseri umani s’ingannano di essere migliori delle bestie, che quasi certamente non sono mai state accarezzate, dall’ombra di una riflessione. Chi ascolta le notizie, invece, si crea il più brutto dei destini, diventando schiavo delle falsità che egli stesso desidera. Non capisce che ogni idea del mondo lo logora, lo rende ancora più limitato e debole di quello che già è.

Oggi volevo dare inizio ad un nuovo racconto, a dire quello che avevo da dire, non sapendo bene cosa. «Oggi» è un semplice modo di dire
Perché se è vero che ogni luogo è l’ombelico del mondo, è ugualmente vero che la più banale delle date è la custodia di tutti i tempi. Se ripetiamo nella testa la parola oggi, riusciamo a percepire in quel ronzio così breve la vibrazione di ciò che è sempre stato.

Il mio sogno è un taglio netto a tutto, e voglio che sia più reale; potrei stare ore ed ore a parlare al silenzio ma è più difficile cambiare un' idea. Cosi la canzone anni ’80.

Mi abbandono, mi assento dalla confusione; nel liquido cosmico la commozione, in un vitale respiro. Perdo l'istinto di conservazione, nella sospensione mi sento sereno e mi ricongiungo nel respiro di ogni cosa. Tendo l'orecchio al giorno nascente, di tutto e di niente s'intende il mio corpo.

Asato maa sad gamaia tamaso maa jiotir gamaia (Portami dal falso al vero, dal buio alla luce).

Lungo la strada, ricordo i miei anni in penombra, i tumulti lontani non hanno più presa non ho più pretese, va avanti da sè il mio rapporto con gli eventi. Mi nutro con nettare antico; ristoro le membra, e nell'abisso di sempre ritrovo me stesso e ciò che ho sempre cercato il destino è segnato
.  Cosi una canzone anni ’90.

Questo ha capito il contesto, poco o tanto che sia!


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