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venerdì 26 maggio 2017

Il silenzio va dritto al cuore

A volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire!
Alda Merini

E' brutto dire cose ovvie e risapute da tutti. Dire cose ovvie ci sminuisce sempre un po', ci fa sentire malinconici o eccessivi. E' come quando ci chiedono: mi vuoi bene? Poiché è ovvio che ti voglio bene, perché me lo chiedi? Perché te lo devo dire? Se me lo chiedi, mi viene fuori solo un debole e stupido: sì….. Tu non ci hai ricavato niente, e io mi sono depresso a doverti dire quel pallido sì.

Il punto difficile infatti non è se si debbano o no avere dei sentimenti, è se si debbano dire i propri sentimenti, ovvero, se si debbano "esplicitare".

E qui ho le idee intimamente e infinitamente più chiare: NO. Alcuni sentimenti non si devono esplicitare mai! 
Ecco una storia famosa. E' la storia di un ragazzo che vuole imparare e si rivolge a un vecchio e saggio maestro. Il maestro, fin da subito gli vuole bene.

Lo accetta come allievo e gli dice di presentarsi il tal giorno per la prima lezione. Ma poi, invece di far lezione, gli ordina di dipingere la palizzata che circonda la sua casa, e gli mostra per bene il gesto con cui deve muovere il pennello su e giù lungo il legno. Il ragazzo, un po' malvolentieri, esegue. Quando ha finito, spera che il maestro gli farà lezione. Ma il maestro gli chiede di dipingere anche il retro della palizzata, e poi di dare una seconda mano, e infine di ridipingere anche il pavimento all'interno, e qui gli mostra di nuovo in quale modo usare il pennello. Così per giorni e giorni. Il ragazzo è ormai al limite della sopportazione, quando finalmente il maestro accetta di dargli la prima lezione. Gli mostra i primi movimenti che dovrà saper compiere con le braccia e... di colpo, vediamo che il ragazzo li conosce già, perché sono quegli stessi gesti che ha dovuto imparare per dipingere la palizzata e poi il pavimento.

Di colpo capiamo che il maestro gliele aveva già date le lezioni, senza che l'allievo se ne accorgesse, anzi, proprio nel momento in cui l'allievo pensava di perdere tempo e di non essere considerato. E' nelle piccole cose e nei gesti di ogni giorno che si capisce cosa è voler bene.
 
C'è un enorme valore del silenzio dentro il verbo "volere bene". Io voglio bene e non dico qual è il mio fine. Voglio bene e basta. Così come dipingo e basta, suono e basta, ti amo e basta. Tacere è bello. 
Tacere era bello. Ora non lo è più.

mercoledì 24 maggio 2017

Bonjour tristesse!

Segnali positivi: due bimbi, alla materna hanno litigato per un libro!

La letteratura e l'arte nella scuola: finite.
Perché il linguaggio povero della comunicazione, ha vinto sul linguaggio ricco della letteratura e dell’arte? (Chi scrive lo fa con un max di 160 caratteri, 2 faccine, fine!).
Quando faccio questa domanda sempliciotta, tutti mi rispondono che è ovvio: siamo nell'era della informazione, la scuola si adegua. (Odio il verbo adeguarsi. Adeguarsi = conformarsi, adattarsi, uguagliare etc...).
Siamo nell'era della comunicazione, i ragazzi hanno altre capacità e altre passioni: leggono le pubblicità, le notizie, e lo fanno a una rapidità incredibile. Sono capaci e ferrati.
Sicuro, sono bravi sulla  "velocità" del mondo. Sono invece cattivissimi riguardo la lentezza della lettura: provate a chiedere a questi "lampi" di leggere libri impegnativi, non lo possono fare. I libri sono lenti e complicati, le immagini invece sono veloci e facili. I libri chiedono tempo, le immagini no.
Ma chi l'ha deciso che era bene adeguarsi invece di tener duro, fare da diga solida e mantenere la letteratura e la storia dell’arte nella scuola, la loro calma, la loro ricchezza?
La scuola dovrebbe fare da diga. Servono insegnanti di cemento armato e non insegnanti d’acqua. L'acqua si adegua a ogni contenitore, e defluisce, non fa mai opposizione. Il cemento armato si oppone, è solido e sta al suo posto.
Non è detto che la fermezza e la tenacia siano un non valore...
Ma un mondo senza la ricchezza vaga, oscura e sfuggente delle parole, è un mondo  molto misero.
Chi sostiene che "la scuola è il luogo dove s'impara a comunicare", parla della scuola come del posto dove tutti i possibili e numerosi sensi sono ridotti a uno: al linguaggio comunicativo. E' un'affermazione pesante.
Vorrei che un mondo che decide una cosa simile ne desse risposta davanti all'umanità intera e se ne assumesse la responsabilità....di ridurre (noi tutti) in questo stato di tristezza.
Quando chiedo di bere e il mio interlocutore mi dà da bere, significa che sono stato capito.
E quando un messaggio viene capito, cosi da produrre una immediata e diretta risposta... “che tristezza!"  diceva Paul Valéry.

E sì, perché si assiste a un paradosso: siccome la letteratura e l’arte sono antiquate, inutili, difficili e noiose (in una parola, vecchie), chi insiste  è giudicato uno stupido, da contrapporre all’insegnante riformatore, innovativo, al passo coi tempi,  che non si è "rintanato" su ammuffite posizioni, ma ha saputo mirabilmente... adeguarsi!
Mi è capitato, negli anni, di incontrare insegnanti un po' speciali,  gente che amava perdersi nelle opere di Petrarca e Boccaccio, Coleridge, Sartre, Calvino o Pennac, Caravaggio, Piero e Masaccio.
Sarà che parlo della preistoria, ma questi signori non li ho mai sentiti parlare di Progetti, Recuperi, Debiti, Griglie, Verifiche, Percorsi... e questi “insegnanti antiquati” non erano per nulla vecchi: semplicemente... amavano molto la letteratura e l’arte. Oggi ce ne sono ancora, di insegnanti così. Non stanno mai in vista, però ci sono. 
Quanto sto dicendo è evidente soprattutto nell'insegnamento della lingua straniera.
Il fine dell'insegnamento di lingue è senza dubbio che tutti sappiano parlare una lingua straniera, e quindi vivere in un paese straniero sapendosi districare nelle varie occasioni quotidiane. Chi mai potrebbe non essere d'accordo?
Il problema è che si è scelto di insegnare direttamente i linguaggi utili, e di insegnare solo quelli: ed ecco "utilissimi" dialoghi all'aeroporto o al ristorante, al supermercato, al cinema, al bar. La nostra prima e forse unica preoccupazione è di rendere tutti in grado di... andare a comprare un hamburger ad un McDonald di Londra!
E va anche bene, ma... forse ci sarebbe un altro modo: il modo alto della letteratura.
Si possono far leggere  i romanzi di Oscar Wilde e Dickens, le poesie di Keats e Shelley. Lì non sta scritto come si chiede un hamburger, è vero: c'è scritto molto di più! E davvero noi crediamo che un ragazzo che sappia leggere uno scrittore non sia poi in grado di andarsi a comprare uno stupido panino? Diamo così poca fiducia alla letteratura, all’arte? Si danno invece un'enorme fiducia... agli strumenti adeguati in sé: si insegnano per anni a chiedere un panino! Nessuno pensa che, se è facilissimo scendere da O. Wilde al panino, non è invece affatto facile, anzi, forse è impossibile, salire dal panino a Coleridge: questo vuol dire che si privano per sempre i ragazzi dell'"altezza" di Wilde,  relegati per sempre alla "bassezza" quotidiana e concreta del panino.
Non sappiamo valutare che cosa è alto e che cosa è basso, che cosa è piccolo e che cosa è grande. E non sappiamo più vedere che quel che è piccolo, per ragioni ovvie, è naturalmente contenuto in ciò che è grande.
Non solo. Esiste il problema della scomparsa della passione negli studenti. La letteratura, l’arte potrebbero aiutare molto: studiando Caravaggio, Giotto o  la Dickinson, forse sarà possibile. Ma sui dialoghi al ristorante, come si potrà appassionare qualcuno? In nome di che cosa è stato fatto questo? Ma forse a pochi o nessuno importa.
Sembra che quasi nessuno si chieda perché ai ragazzi la scuola oggi insegni a fare articoli, saggi brevi e lettere commerciali, né quale sia la differenza teorica tra letteratura e comunicazione. Ai miei coetanei, ora genitori come me, non importa molto di tutto ciò. Se si agitano per la scuola, è solo per questioni di orari, tempi pieni, scuola pubblica o privata. Non certo per difendere la letteratura e i linguaggi artistici.
Questioni sindacali. Non certo culturali.
Buongiorno. Un giorno nuovo è iniziato. Bonjour tristesse, Valéry!

sabato 20 maggio 2017

Ptof, persone troppo occupate forse!

Profeta: Cosa vuoi?
Uomo: Tu sai gia cio' che voglio, vero?
Profeta: Se non lo sapessi, che profeta sarei!
Uomo: Se sai già la risposta, come posso scegliere?
Profeta: Perché non sei venuto qui per fare una scelta, la scelta l'hai già fatta, sei qui per conoscere le ragioni per cui l'hai fatta.

Contestino è un bambino col quale a volte chiacchiero, un amico immaginario.
Ce l'ho da poco. A volte me lo ritrovo di fronte, mentre sono su una poltrona che penso. Io penso e lui mi guarda.
Adesso sto cercando di spiegargli che cos'è il Ptof. Gli dico "è dove finiscono i Progetti.
Ptof, ricorda il tonfo di un sasso in acqua. Nel Ptof si mettano tutti i progetti: cosa c'è di più fluido e fluente di un Ptof, in effetti? (Senti quante effe? Fluido e fluente... Ptofffffffff! Effettivamente ce ne sono a bizzeffe di effe!). E, giacché i progetti sono quel che contraddistingue una scuola, il Ptof, contenitore di progetti, è una specie di documento d'identità della scuola. Contestino non capisce cosa è il documento di identità, è un bimbo. Gli spiego che è dove trovi notizie scritte su chi sei. Come ti chiami, cosa fai, dove abiti, di che colore hai i capelli e gli occhi.
Gli spiego che la scuola non ha i capelli, gli occhi….. ma in compenso adesso ha i progetti.
Quindi il Ptof fornisce l'identità di una scuola in base ai progetti che quella scuola offre. Non per nulla Ptof vuol dire Piano triennale dell'Offerta Formativa.
E’ un piano, un progetto che contiene altri progetti, cosi che tutti insieme permettano di "pianificare l'offerta".
So bene che la parola offerta ti fa venire in mente quando andiamo al supermercato e i giocattoli sono in offerta, lo so. Ma non fare queste confederazioni, sono azzardate.
Dunque, il Ptof è la pianificazione di ciò che la scuola ti offre per formarti.

Il segreto sta nel differenziare. Le scuole non sono tutte uguali. Ci sono scuole e scuole. Per questo preparano un fascicolo, perché tu, utente-cliente-studente, possa scegliere la scuola migliore.
Perchè? Semplice: da un certo punto la scuola si è messa a fare un'offerta. Ogni scuola promuove le sue offerte che la diversificano dalle altre scuole. Dunque, le scuole pubbliche non sono più tutte uguali: una scuola offre una cosa e un'altra scuola ne offre un'altra. Chiarissimo. Eppure lo trovo strano..... Non riesco ad afferrare tutto. Per esempio, non riesco a comprendere che cosa possa mai offrire di cosi nuovo o diverso un insegnante di lettere, ad esempio, cosa può mai escogitare, se non di insegnare bene la sua materia e cioè insegnare a leggere dei bei libri e capirne il senso nel profondo; esprimere per iscritto il proprio pensiero, o un racconto, un ricordo; saper sostenere un discorso avvincente, ben costruito, suggestivo. Che altro?
Che cosa potrà mai offrire di diverso l'insegnante di italiano della scuola vicina e concorrente? Perché di colpo la scuola ha dei concorrenti?
Facile. Ogni scuola, è libera di scegliere che cosa offrirti, cioè quali progetti presentarti. Per esempio, un bel corso di canto o di fotografia o di scrittura creativa.
Ricapitolando, i Progetti distinguono una scuola.
Eppure, nonostante tutte le spiegazioni date, Contestino mi ha detto che a distinguere una scuola sono “gli insegnanti”. Che scemenza. Si vede subito che è un bambino. Non gli insegnanti e nemmeno le cose che insegnano, o i modi che usano per insegnarle. Contano solo le cose extra, le cose "fuori": i progetti, appunto. Le attività, non le materie. Nel Ptof troverai che in una scuola si fa il Corso Tizio o l'Approfondimento Caio o l'Uscita al Museo X e la Gita di Istruzione ad Y. Non troverai chi insegna e che cosa e come. Se cioè un insegnante di lettere fa leggere dei bei libri o no, quello non ce lo trovi. E nemmeno il fatto che il tal insegnante di matematica è bravissimo e chiaro a spiegare o che è un mezzo genio a cui andrebbe dato un premio. Queste cose no, queste cose non interessano a nessuno. Non fanno l'identità di una scuola. Anche perché il suddetto insegnante particolarmente bravo e capace, per inventarsi le sue nuove formule e modi di insegnamento che funzionano, se ne sta per ore ed ore in casa a preparare le lezioni: non offre mai un'attività extra sulle strategie dell'apprendimento, non fa mai un corso o un'uscita didattica al Museo del calcolo, niente! E' davvero un pessimo insegnante.

L'attuale sistema scuola non sembra avere alcuna idea di che cosa sia un maestro. O meglio, non sembra volere affatto dei maestri.
L'attuale scuola odia i "maestri". Li trova antiquati e poco flessibili. Dotti e presuntuosi.
Oggettivamente non valutabili. E silenziosi, troppo silenziosi.
Insomma, gli insegnanti devono tutti diventare insegnanti p(t)offati.
Insegnare e far lezione sono diventate parole vecchie, obsolete.

Oggi l'insegnante deve fare altro. Recuperare. Colmare. Accoglie. Progettare. Pianificare. Deve avere e raggiungere degli obiettivi.
Pianifica l'offerta, cura l'utenza, individua i percorsi, stabilisce gli obiettivi, disegna la mappa, costruisce la griglia, indica i saperi, fornisce un metodo, studia le strategie, usa gli strumenti, stabilisce i criteri, valuta oggettivamente, si autovaluta, si monitorizza, certifica le competenze, somministra i test, verifica in itinere, rispetta gli obiettivi, organizza i moduli, percorre i percorsi, si aggiorna nei contenuti e nei metodi, mette in atto il processo educativo, esplicita le competenze, concretizza le conoscenze, verifica l'apprendimento, si relaziona agli altri enti, governa i conflitti, lavora sul territorio, innalza il tasso, il successo scolastico... ma soprattutto è flessibile, flessibile e disponibile, disponibile al cambiamento...

Per chi come me ha frequentato la scuola una vita fa non riconosce più nulla. Hai la vaga impressione che qualcuno ha cambiato il mondo, spostato l'orizzonte.
Aiuto. Qualcuno che mi dica quali sono i miei obiettivi, i miei metodi, i miei percorsi, le mie strategie, i miei moduli, le mie competenze..........
Di colpo non so più niente. E non sono niente.

Vuoi vedere che abbiamo sbagliato tutto a scegliere la scuola per gli ottimi insegnanti!

martedì 16 maggio 2017

Impara a dire NO!


Sono grato a tutte quelle persone che mi hanno detto NO. 
E’ grazie a loro che sono quel che sono. 
Albert Einstein
Ho fatto una bella chiacchierata con un’insegnante delle elementari nel cortile della scuola………

I genitori oggi sono in grandi difficoltà. Si sta completamente alterando e trasformando la differenza generazionale.
Quali sono le due angosce dominanti dei genitori contemporanei, dei trentenni, dei quarantenni di oggi. Sono angosce nuove, che non esistevano quando ero piccolo, nella generazione dei miei genitori.
L’angoscia prevalente dei genitori moderni è quella di essere sufficientemente amati dai loro figli.
Si tratta di un’anomalia; è il figlio che vuole essere amato dai genitori. 

In passato, di fronte a un padre che non c’era mai, che lavorava tutto il giorno, dalla mattina alla sera, i bambini si chiedevano: «Ma io conto qualcosa per lui?» È il figlio che s’interroga ed è giusto che s’interroghi. Adesso invece sono i genitori che s’interrogano: mi ama? mi vuol bene? E questa è un’angoscia che interrompe il gesto educativo. Perché per essere amabile devo dire sempre «sì!» È chiaro che è sempre più difficile dire «no!» perché si diventa meno amabili agli occhi dei propri figli...

La seconda angoscia, che ha ormai raggiunto livelli inquietanti, è l’angoscia legata al risultato.
I genitori oggi sono sempre più assillati dalla capacità dei loro figli. Appena il figlio incontra un ostacolo nel suo percorso si rompe il patto generazionale, per esempio quello tra i genitori e gli insegnanti... Si accusano gli insegnanti di non capire le qualità del proprio figlio, oppure gli si fa cambiare scuola alla prima difficoltà scolastica!


Questo è la vanità dei genitori per cui non è più il bambino che si adatta ai ritmi della famiglia, al funzionamento del mondo, ma è il mondo che va modellato sul capriccio del bambino. Il nostro tempo è il tempo del bambino venerato, di cui in Caro diario Nanni Moretti ci ha dato un ritratto memorabile. Ricordate? Bambini che tiranneggiavano gli adulti e li costringevano a fare i versi degli animali al telefono...

venerdì 12 maggio 2017

Il contrario di uno

Alle madri, perché essere in due comincia da loro


La mancanza è la più forte presenza che si possa sentire.
Non ci manchi quando siamo tristi!!! 

Ci manchi quando siamo felici e non possiamo dividere i sorrisi con te.